Appunti critici semiseri “non politically incorrect”, ricordi e digressioni di un alessandrino nostalgico
Riccardo Motta
L’autore sostiene che scrivere questo saggio è stato come vedere parte di un film sulla sua stessa vita. Eppure il testo muove da una tesi provocatoria d’altro genere. Umberto Eco, geniale studioso e romanziere alessandrino recentemente scomparso, ha avuto più acquisitori – in quanto autore “alla moda” – che non veri e propri lettori.
Tra varie digressioni e una sorta di diario personale, affiora quindi il declino di Alessandria inscritto in un’eclissi generale da cui si difendono soltanto poche realtà urbane a misura d’uomo. Ed è poi sorprendente notare come Eco avesse previsto con largo anticipo lo sgretolamento progressivo della sua città d’origine attraverso un’osservazione al vetriolo dei concittadini, delle loro abitudini e attitudini. Ed in definitiva allora questo lavoro insiste sulla memoria collettiva degli alessandrini e l’odissea identitaria della loro città.
Affiora infine la nostalgica ricerca del tempo perduto dello stesso Eco, abilmente mascherata da un’arcigna e complessa tecnica scrittoria. Così, fra molte divagazioni personali, questo lavoro diviene più che altro un identikit dell’alessandrino burlone e non privo di civetterie invece che un’analisi del lavoro del professor Eco “enciclopedia d’Italia”. Il che ne rispetta in fondo le ultime volontà. Rinviando ad altri autori meglio attenti e soprattutto a tempi più maturi gli studi sull’opera del genio alessandrino.
In appendice al saggio compaiono la prefazione all’opera inedita Puvi ad steili e una traccia bibliografica dei lavori di Sandro Locardi, il “businatore” e poeta dialettale caro all’autore – ed anche ad Umberto Eco.